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Il Covid-19 vissuto sul territorio

Il Covid-19 vissuto sul territorio

a cura di Franco Gabriele

Medico di famiglia, medico curante, medico di base sono alcuni degli appellativi con cui si indica il medico di medicina generale. I termini si riferiscono a differenti periodi della nostra storia, ma vogliono anche indicare le molteplici e spesso complesse funzioni a cui il medico è chiamato.

Vorrei analizzare la mia esperienza sotto i vari punti di vista.

 

         MEDICO DI FAMIGLIA: questa è stata la funzione più importante svolta durante la fase inziale della malattia, quella della diffusione. Il Covid-19 si riconosce non tanto per i sintomi, quanto per l’evoluzione e la caratteristica, pressoché unica, di colpire in vario modo tutti i membri di una famiglia. In genere, ma non sempre, i giovani in modo più leggero e comunque con un andamento persistente che a volte, per fortuna raramente, si complica con la comparsa di polmonite: se quest’ultima si presenta talvolta è grave e richiede ospedalizzazione, talaltra si risolve spontaneamente con terapie tradizionali senza troppo gravi complicazioni.

In questa situazione il ruolo del medico di famiglia, per noi in Toscana che abbiamo avuto la fortuna di affrontare la malattia consci del suo pericolo, è stato fondamentalmente quello di controllare, rassicurare, seguire e filtrare i casi che avevano una evoluzione più sfavorevole. Il problema, particolarmente grave, è stato l’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale (DPI) che il SSN ha fornito solo in modo carente e con colpevole ritardo. In questa fase è stato commovente lo sforzo di pazienti, amici, operatori, farmacisti nel cercare di provvedere al proprio medico mascherine efficaci. Personalmente ho avuto la fortuna di averne ancora da parte fornite ai tempi della suina e da allora inutilizzate perché in quel caso arrivarono quando l’epidemia era ormai finita.

         MEDICO CURANTE: sotto questo aspetto invece l’esperienza è stata molto più negativa in quanto quel poco che abbiamo provato a fare (idrossiclorochina, antivirali, azitromicina), sotto il profilo dell’intervento terapeutico, si è dimostrato negli studi di medicina condotti a livello internazionale, sostanzialmente inutile. Se è vero che tali studi vengono fatti in ospedale, quindi a pazienti che già si trovano in una fase florida della malattia, è altrettanto vero che a tutt’oggi non esiste dimostrazione di una cura da utilizzare nella fase precoce per evitare il peggioramento del paziente. Non mi risulta che sia stata tentata questa strada e studi di fase precoce non ne ho visti. Mi sento però di confermare che sul campo la sola visita, la valutazione del paziente e, quando è stata possibile, la rassicurazione, sono stati metà cura e un buon filtro per l’ospedalizzazione.

C’è tuttavia da sottolineare che in questo periodo il ruolo del medico curante è stato determinante, e anzi ha svolto un lavoro molto superiore alla media, per tutte le altre patologie non Covid-19. Con i servizi ospedalieri chiusi e gli ospedali trasformati in reparti Covid-19, con l’accesso al Pronto Soccorso evitato il più possibile (anche gli istituti medici privati sono stati chiusi per una settimana) il medico curante è stata l’unica figura di riferimento rendendosi anche più importante e, nella difficoltà del momento, ricco di soddisfazioni. In pratica è rimasta la sola figura sanitaria a cui rivolgersi direttamente, certi di un riscontro e di un consiglio.

         MEDICO “SCIENZIATO”: estremamente stressante è stata la continua ricerca di approfondimenti scientifici. Per fortuna, oltre alle riviste a cui siamo abbonati, altre riviste hanno concesso di leggere in chiaro tutte le notizie sul Covid-19. C’è stata una pioggia di comunicazioni e solo lentamente sono apparsi articoli significativi su Covid-19.

Si è capito cosa stesse succedendo solo strada facendo, ma ben poco si conosce e ancor meno sappiamo come curare, il Covid-19. Si è letto moltissimo, ma, per il medico pratico, si è concluso poco. Gli scienziati più autorevoli, infatti, si sono sempre espressi con prudenza e dubbi che restano, purtroppo, veri fino ad oggi. Per contro media e social si sono sbizzarriti in affermazioni di granitiche opinioni, ovvero pareri personali spacciati come assolute verità. Dove sono finiti i Poeti, i Santi e i Navigatori? Da oggi siamo un popolo di virologi e complottisti!

         MEDICO DEL SSN: questa è stata forse la parte più deludente e stressante di tutta l’epidemia. Se da un lato era comprensibile, ma non giustificabile, la mancanza di preparazione, di sufficienti DPI e di tamponi per la diagnosi, è inaccettabile che si sia cercato di sopperire alle mancanze con un diluvio di normative, ordinanze, flow chart, proclami scritti in un linguaggio incomprensibile che hanno reso ingestibile ogni situazione per un lungo periodo, esponendo noi medici ad una serie di errori burocratici e possibili inadempienze che nulla hanno a che vedere con la clinica e la salute dei pazienti.

Vero anche è che i primi a rinunciare al loro ruolo di clinici sono stati i medici curanti stessi che si sono rifugiati nella “medicina a distanza”; è vero che si era preoccupati da quanto succedeva nel nord Italia, quando la patologia è stata affrontata senza mezzi di protezione e conoscenza del problema e dove molti si sono ammalati e troppi hanno perso la vita. Onorare i caduti non significa però rinunciare al proprio lavoro ovvero curare a distanza. Si onorano i caduti vincendo la loro battaglia non rinunciando ad andare al fronte. Bisogna andarci armati adeguatamente! Con la telemedicina poi non si può fare un esame clinico completo!

La semeiotica, che è tutta la nostra forza, non si può attuare a distanza. Il malato va visto, visitato, persino annusato, altrimenti che diagnosi possiamo formulare? Certo tutto va eseguito nella massima sicurezza e ancora oggi molte cose necessarie sono difficilissime da reperire. Un esempio: ci viene consigliato di visitare con doppi guanti che non solo non ci vengono forniti, ma sono introvabili sul mercato! Per fortuna ora si trova il gel igienizzante.

La soluzione non risiede neppure nelle acclamate USCA ( Unità Speciali di Continuità Assistenziale composte da giovani medici e infermieri adeguatamente attrezzati). Non posso pensare di affidare a medici neolaureati o neo specializzati quei pazienti che seguo da decenni solo perché sono forniti di adeguati DPI e autorizzati a fare i tamponi diagnostici; senza parlare del fatto che le USCA sono diventate efficienti quando non ci sono stati più nuovi casi: come i tamponi che vengono fatti in maniera abbondante solo adesso che i malati non ci sono più (almeno per ora, speriamo…)!

Quando si sono sostanzialmente esauriti i casi di malattia, è iniziato lo stress dei test sierologici. Senza entrare nella problematica della sensibilità e specificità dei test devo dire che senza chiare indicazioni normative o meglio con indicazioni confuse si è creato un vero caos.

Se nella prima fase prevaleva la paura dei pazienti e questa li portava a stare a contatto con il proprio medico, adesso è scoppiata ansia e agitazione, complici di nuovo i social frequentati dai pazienti che chiedono continuamente risposte a domande che risposte non hanno e credono di capire cose che invece sono lontane dall’essere chiarite.

Il tutto si trasforma in termini di fortissimo stress per i pazienti che lo riversano sul proprio medico curante, il quale però, specie se onesto, risposte certe non ne ha.

Questa ultima considerazione porta all’ultimo aspetto: IL MEDICO TELEFONISTA. Ricordo la fase acuta della suina come un periodo in cui il telefono suonava in continuazione. Niente in confronto ad adesso! Siamo stati subissati anche da 80 – 100 telefonate al giorno, 7 giorni su 7, fatte di preoccupazione e paure, quindi di confusione e qualche volta di rabbia. I livelli di stress rimangono molto elevati anche adesso che la malattia sembra, speriamo, in remissione.

Cerchiamo di continuare a lavorare al meglio e – finché dura la confezione che mi ha regalato il pizzicagnolo – anche con i guanti.

Dr Franco Gabriele

 

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